Anche nel ventunesimo secolo il calcestruzzo resta un materiale di estrema attualità, versatilità ed affidabilità.

Nelle innumerevoli applicazioni che ogni giorno lo vedono protagonista, il calcestruzzo fornisce le prestazioni attese. Talvolta però, sotto il profilo strutturale, estetico e funzionale si possono verificare inconvenienti, spesso riconducibili alla qualità dei suoi componenti, al loro errato proporzionamento, alla modalità di miscelazione in cantiere o in centrale di betonaggio, alle condizioni ambientali durante il confezionamento e la messa in opera, alle procedure di costruzione utilizzate e così via. In questi casi si rende necessario identificare l’intervento di riparazione più adatto e conveniente, attraverso la puntuale individuazione della causa o delle cause che hanno determinato l’accadimento.

Le note che seguono sono sufficientemente dettagliate nel proporre alcuni semplici appunti per orientare, “in prima approssimazione”, l’identificazione delle forme di degrado, dell’origine del deterioramento in atto, delle misure di prevenzione e dei possibili metodi di bonifica.

DESCRIZIONE: ll termine abrasione definisce sia la sollecitazione che il degrado di una superficie sottoposta ad attrito. L’erosione può essere considerata una forma di abrasione di una superficie, mentre la cavitazione interviene quando si verifica una sollecitazione con flusso non lineare, con velocità superiori a 12 metri/secondo.

A titolo di esempio le pavimentazioni in calcestruzzo, che rappresentano in modo inequivocabile l’usura delle superfici per logoramento, sono soggette ad abrasione da attrito; nelle strutture idrauliche, l’azione dell’acqua e dei materiali abrasivi trasportati (sassi e pietre), porta a processi di erosione.

Quando le opere idrauliche sono sottoposte alle bolle vorticanti, in grado di generare flussi non lineari, la sollecitazione che ne deriva è la cavitazione.

ORIGINE DELL’INCONVENIENTE: Il difetto/danno, riconducibile alle condizioni di servizio è reso possibile e/o amplificato, dall’eventuale qualità non adeguata del calcestruzzo nonché da eventuali sollecitazioni di entità non contemplata progettualmente.

POSSIBILI CONSEGUENZE: Decadimento lento o rapido della qualità funzionale e prestazionale della struttura interessata.

MISURE DI PREVENZIONE: Adeguamento del mix-design del calcestruzzo e delle caratteristiche prestazionali dei componenti alle sollecitazioni di abrasione e/o erosione prevedibili (a). Eventuale predisposizione di sistemi indurenti per le superfici esposte (b).

(a) = calcestruzzi specificatamente progettati ad elevata coesione intrinseca e ridotto rapporto A/C, addizionati con silica fume (MICROSIL 90), ove possibile e necessario, fibrorinforzati con fibre sintetiche e/o d’acciaio (READYMESH)

(b) = realizzazione di sistemi indurenti all’estradosso

METODI DI BONIFICA: Condizioni significative di degrado rendono necessario il ripristino corticale (ricostruzione), previa asportazione del conglomerato comunque interessato dai processi degenerativi (FLOOR Q e FLOOR TENAX). Condizioni di degrado iniziale possono essere sanate con la pulizia delle superfici e l’applicazione di prodotti indurenti, di tipo impregnante non pellicolare, quali QL NANO LITHIUM HARD e QL FLUOSIL.

DESCRIZIONE: La comparsa di bolle sulla superficie del calcestruzzo fresco o nella fase di primo indurimento è generalmente identificata con il termine “bugholes”. Le bolle possono avere dimensioni variabili, da pochi millimetri sino a decine di millimetri. Talvolta possono raggiungere dimensioni ancora maggiori. Sono rivestite da una pellicola di malta densa e possono contenere, inizialmente, sia aria accidentalmente inglobata (trapped air) che concentrazioni di acqua di affioramento. Mentre le bolle di dimensione maggiore sono facilmente individuabili e consentono una qualche forma di intervento, quelle di dimensione ridotta, specie in condizioni di scarsa illuminazione, possono passare inosservate. In ogni caso, se trascurate, le bolle da Blistering, si manifesteranno con fratture e disgregazioni, non appena la superficie verrà sottoposta al traffico.

ORIGINE DELL’INCONVENIENTE: Il difetto/danno, spesso riconducibile ad errori nel mix design e nel confezionamento del calcestruzzo (granulometria, contenuto di cemento, eccessivo rapporto acqua cemento ecc.), può derivare o accentuarsi anche in presenza di sviste nell’esecuzione quali l’inglobamento accidentale d’aria, l’intempestiva lisciatura, ecc.

POSSIBILI CONSEGUENZE: Con l’indurimento del calcestruzzo, le bolle rappresentano elementi critici di fragilità. Sottoposte a sollecitazioni (traffico), si fratturano rapidamente causando discontinuità estetico/funzionali, generazione di polvere, nonché localizzazioni di ulteriore rapido degrado.

MISURE DI PREVENZIONE: Adeguamento del mix-design e delle caratteristiche prestazionali dei componenti, adeguamento delle modalità e dei tempi di lavorazione: posa in opera, applicazione degli indurenti (spolvero: utilizzare FLOOR VULKAN), lisciatura, ecc… Lo schiacciamento delle bolle in fase plastica può essere considerato un rimedio generico che però, se accuratamente e tempestivamente posto in essere, può ridurre significativamente le conseguenze sopra accennate.

METODI DI BONIFICA: Con il verificarsi della fratturazione delle bolle e del conseguente degrado, i possibili metodi di bonifica contemplano il ripristino corticale (ricostruzione), previa asportazione del conglomerato comunque interessato dai processi degenerativi (per esempio FLOOR Q o FLOOR TENAX).
L’omogeneità cromatica e di tessitura delle superfici può essere ripristinata con l’applicazione di soluzioni indurenti non pellicolari, pigmentate (del tipo QL NANO LITHIUM COLOR), in grado di conferire anche una significativa protezione antiabrasiva.

DESCRIZIONE: Rappresentano la conseguenza della formazione, causata da diverse incorrettezze esecutive, di vuoti (bolle), di dimensioni e quantità variabile, a ridosso delle superfici continue, in genere le casseforme. La scoperta di queste bolle è in genere una sorpresa che si verifica all’atto del disarmo.

ORIGINE DELL’INCONVENIENTE: Migrazione, in adiacenza alle superfici interne delle casseforme, di aria ed acqua spinte dal calore del calcestruzzo fresco e/o dalle azioni connesse con la compattazione (vibrazione ecc.). Può inoltre derivare da scompensi nella distribuzione granulometrica, dall’inadeguata qualità dei prodotti disarmanti, nonché dalla solubilizzazione delle cellulose e delle emicellulose delle casseforme lignee.

POSSIBILI CONSEGUENZE: I problemi derivanti dalla presenza di “bugholes” sono soprattutto di tipo estetico anche se, in qualche misura, possono inficiare la durabilità dell’opera. Gli aspetti strutturali veri e propri non sono coinvolti.

MISURE DI PREVENZIONE: Adeguamento del mix-design, in termini di granulometria e coesione della matrice, adeguamento dei tempi e delle modalità di posa in opera e compattazione (vibrazione), utilizzo di casseforme idonee e di agenti disarmanti di tipo chimico, non oleoso.

METODI DI BONIFICA: Colmatura delle bolle, previa accurata preparazione, con l’utilizzo di miscele cementizie di diametro massimo proporzionato alle dimensioni delle bolle, addizionate con leganti e promotori di adesione polimerici adeguati alla cromia delle superfici adiacenti (per esempio di tipo BOND HG, per superfici scure e BOND IDRO, per superfici tendenzialmente più chiare). In genere è consigliabile effettuare qualche prova preliminare per individuare le miscele con cromie, dopo indurimento, più omogenee rispetto al conglomerato adiacente.

DESCRIZIONE: Il concetto di “cracking” sottintende il fenomeno della generazione di fessure nelle strutture di calcestruzzo.
Con la comparsa di fessure nella superficie del calcestruzzo l’ambiente esterno può entrare più facilmente a contatto con le armature. Per questo motivo le Norme Tecniche delle Costruzioni stabiliscono un’ampiezza massima delle fessure riscontrabili su un calcestruzzo e impongono una verifica dello stato limite di fessurazione. Secondo le NTC l’ampiezza massima delle fessure deve rispettare i seguenti valori: w1=0,2 mm; w2=0,3 mm; w3=0,4 mm individuato in base alle condizioni ambientali: molto aggressive (w1), aggressive (w2), ordinarie (w3). A solo titolo di esempio si riportano le ulteriori rappresentazioni schematiche per l’identificazione delle cause di fessurazione proposte nel documento A.C.I. (American Concrete Institute) 224.1R-07.

ORIGINE DELL’INCONVENIENTE: Il calcestruzzo è soggetto a contrazioni ed espansioni, con il variare del contenuto di umidità e della temperatura. Ulteriori variazioni possono essere indotte dalle condizioni di carico, da quelle del supporto e così via. Se questi movimenti non sono adeguatamente previsti, nell’ambito progettuale o nelle modalità di costruzione, possono verificarsi lesioni (crepe), di varia natura ed aspetto. Alcune di queste lesioni sono di seguito schematizzate. L’origine delle fessure viene in genere classificata attraverso due categorie fondamentali: l’ambito precedente l’indurimento del calcestruzzo (spesso designato come PRE-INDURIMENTO) ed il contesto successivo (POST-INDURIMENTO).

  • Appartengono alla prima categoria: le fessure indotte dai MOVIMENTI ACCIDENTALI del conglomerato, delle casserature e del sottofondo, le fessure indotte in fase plastica dal RITIRO PLASTICO, dagli ASSESTAMENTI PLASTICI, nonché le fessure indotte da cause stagionali, per esempio quelle determinate dal CONGELAMENTO DEL CALCESTRUZZO.
  • Appartengono alla seconda categoria: le fessure indotte da CAUSE FISICHE, quali il ritiro igrometrico, il crazing e la contrazione degli aggregati, le fessure indotte da CAUSE STRUTTURALI, quali i carichi progettuali, il creep ed i sovraccarichi accidentali, da CAUSE TERMICHE, quali le contrazioni termiche, l’incidenza di vincoli esterni e dei gradienti termici interni, nonché le fessure indotte da CAUSE CHIMICHE (o elettrochimiche), quali la carbonatazione, la reazione alcali aggregati (ASR) e la corrosione delle armature.

POSSIBILI CONSEGUENZE: In linea generale la presenza di “crack”, così come suggerisce il termine inglese, quasi onomatopeico, indica qualcosa che si rompe. Indubbiamente, a parte gli aspetto estetici che non ne traggono beneficio, i rischi di decadimenti della durabilità sono da valutare attentamente. Così come debbono essere considerati i possibili riflessi sull’integrità strutturale, seppure piuttosto infrequenti. Nella pratica corrente, le fessure di apertura ridotta, inferiori a 0.3 mm, non interessanti l’intero spessore, vengono generalmente trascurate sotto il profilo strutturale.

MISURE DI PREVENZIONE: Premesso che è praticamente impossibile ottenere un calcestruzzo del tutto esente da fenomeni fessurativi, le fessurazioni possono essere ridotte e controllate attraverso procedure che coinvolgono il mix design del calcestruzzo, il corretto dimensionamento del copriferro, le modalità di finitura e stagionatura, l’accurata predisposizione dei giunti, ove necessari. Un calcestruzzo coerente con le normative vigenti (UNI EN 206-1), coesivo, ove possibile e/o necessario Fibrorinforzato (per esempio con fibre polipropileniche READYMESH), rappresenta la prima misura di prevenzione antifessurativa.
La qualità del calcestruzzo sopra accennata deve essere coniugata con la preventiva definizione e predisposizione dei giunti e con la sicura determinazione di spessori di copriferro tali da evitare l’insorgere di processi di corrosione. Per quanto attiene le procedure di getto, compattazione, finitura e stagionatura umida, premesso che non debbono essere compiute operazioni di finitura in presenza di acqua di affioramento (bleeding), la cura e la stagionatura umida debbono essere protratte, continuativamente, per 7 giorni, con specifiche protezioni nei confronti degli eventi temici, dell’irraggiamento solare diretto e dell’esposizione al vento. Nel caso di lastre orizzontali (pavimenti in calcestruzzo) anche l’adeguata preparazione dei sottofondi riveste una importanza fondamentale.

METODI DI BONIFICA: La bonifica delle manifestazioni fessurative richiede una preventiva identificazione delle stesse in termini dimensionali (apertura) e di spessore relativo, rispetto allo spessore del manufatto (altezza relativa). In assenza di rilievi strutturali la bonifica deve prevedere la conveniente apertura della fessura ivi compresa l’asportazione del conglomerato comunque degradato e della polvere, la sigillatura o colmatura da effettuarsi con un materiale adeguato alle sezioni di riempimento e la successiva protezione delle superfici. A titolo di esempio, la sigillatura di fessure millimetriche potrà essere effettuata con sistemi polimerici estrudibili e/o spatolabili (tipo EG91, PROTECH FLEX o PROTECH SIGILFLEX MONO), con sistemi cementizi colabili (tipo GROUT CABLE o GROUT MICROJ). La colmatura, nell’intervallo dimensionale mm 5/12 potrà essere effettuata con malte cementizie (tipo REPAR SM o REPAR TIX), la colmatura di ampiezze superiori a mm 12 potrà essere effettuata con malte cementizie colabili (tipo GROUT 2 o GROUT 6) o tixotropiche (tipo REPAR TIX). Molto interessante anche la sigillatura con la speciale resina epossidica da colare nelle fessure dopo averle aperte con disco flessibile SYNTECH ROADWARE. Per la protezione consolidante si potrà ricorrere a sistemi applicati a pennello o spruzzo (tipo QL FLUOSIL o QL NANO LITHIUM HARD).

DESCRIZIONE: Il termine “crazing” può essere tradotto come la comparsa di screpolature diffuse, con distribuzione casuale (random), in genere sottili e poco profonde (=< mm 3). Le screpolature descritte disegnano aree esagonali di dimensione compresa fra 30 – 40 millimetri. Più raramente possono definire aree comprese fra 8 e 12 millimetri. Il momento di “formazione” delle screpolature è in genere riconducibile, anche in termini di causa, alla fase plastica, di primo indurimento. La “visibilità” delle screpolature, talvolta non immediata diventa vistosa quando la superficie del calcestruzzo è bagnata.

ORIGINE DELL’INCONVENIENTE: La formazione delle cavillature è quasi sempre associata all’inosservanza di regole inerenti la tecnologia del calcestruzzo. Fra queste inadempienze si richiamano il rapporto acqua/cemento eccessivo, l’insufficiente coesione di miscela ed il conseguente affioramento d’acqua (bleeding), l’applicazione di spolveri indurenti in presenza di acqua superficiale affiorata, le spatolature di finitura protratte o intempestive, le incorrette e discontinue procedure di stagionatura (bagnature intermittenti), il mancato “curing” in presenza di vento o irraggiamento solare diretto, ecc. In taluni casi, peraltro abbastanza rari, il fenomeno può essere ricondotto all’esasperazione di processi di carbonatazione.

POSSIBILI CONSEGUENZE: In linea di massima le cavillature da “crazing” hanno soltanto valenza estetica anche se i calcestruzzi screpolati superficialmente, esposti alle intemperie, possono subire riduzioni anche significative della durabilità.

MISURE DI PREVENZIONE: Per evitare il manifestarsi di screpolature, particolarmente frequenti nelle superfici “spatolate”, è necessario evitare impasti con eccessi di acqua in superficie, utilizzando additivi adeguati (per esempio FLUID S), incrementando la coesione di miscela (per esempio con MICROSIL 90) proteggere le superfici dal vento e dall’irraggiamento solare diretto, non effettuare finiture in presenza di acqua affiorante (bleeding), non protrarre i tempi di spatolatura, non utilizzare metodi di asciugatura a ventilazione, evitare i cicli di stagionatura intermittenti assicurando una conveniente stagionatura umida, continua, delle superfici esposte.

METODI DI BONIFICA: L’obiettivo di bonifica, generalmente rappresentato dalla riduzione dei decadimenti estetici e dalla messa in sicurezza delle superfici, specie se esterne ed esposte, nei confronti degli eventi atmosferici, è agevolmente conseguibile attraverso l’applicazione di un protettivo indurente, non pellicolare, di tipo nano-tecnologico (QL NANO LITHIUM), in grado di limitare drasticamente l’assorbimento dell’acqua, all’origine dei vistosi inestetismi, assicurando, nel contempo, la migliore protezione delle superfici.

DESCRIZIONE: Viene comunemente definito “curling” l’imbarcamento (distorsione in forma curva verso l’alto o verso il basso) di lastre in calcestruzzo. Il curling, che può manifestarsi più o meno precocemente, determina il sollevamento dei bordi, spesso in corrispondenza degli angoli.

ORIGINE DELL’INCONVENIENTE: Generalmente la causa dell’innalzamento e/o dell’inarcamento ai bordi, di una lastra in calcestruzzo, è riconducibile a contrazioni della parte superiore della lastra, rispetto alla parte sottostante, determinate da differenze di umidità e/o di temperatura. In particolare, la cessione di umidità concentrata all’estradosso comporta importanti differenze nell’entità del ritiro igroscopico con conseguenti tensioni interne in grado di generare la deformazione.

Le cause più frequenti sono riconducibili al ritiro non contrastato del calcestruzzo, al bleeding, alle tensioni differenziali indotte dallo spolvero indurente, all’irraggiamento solare diretto, alla ventilazione radente, alle differenze significative di temperatura ambiente e fra l’estradosso e l’intradosso della lastra di calcestruzzo, nonché all’inadeguata distanza adottata fra i giunti di contrazione.

POSSIBILI CONSEGUENZE: Il verificarsi del curling è soprattutto associato alle lastre di calcestruzzo quali le solette e le pavimentazioni in calcestruzzo. In queste ultime strutture, chiaramente di carattere operativo, il verificarsi dei fenomeni accennati si traduce spesso nella rapida comparsa di lesioni, in genere agli angoli della lastra, come conseguenza dei sollevamenti e delle fratture sotto carico. Il risultato finale può essere rappresentato dalla concreta inagibilità della pavimentazione.

MISURE DI PREVENZIONE: Consistono nell’adozione di provvedimenti atti a ridurre drasticamente gli effetti dei principali fattori di rischio: ritiro igroscopico, bleeding, irraggiamento solare diretto (curling verso il basso), temperatura ambiente rigida, nella fase plastica e di primo indurimento (curling verso l’alto), ventilazione radente, eccessiva spaziatura fra i giunti di contrazione. Ne conseguono, come misure di prevenzione essenziali, l’adozione di miscele di calcestruzzo a basso ritiro e/o a ritiro controllato. In ogni caso i conglomerati dovranno essere caratterizzati da ridotti valori del rapporto acqua cemento e da un’elevata coesione intrinseca (per esempio con MICROSIL 90 + FLUID S + READYMESH PM-180). L’assoluta inibizione delle aggiunte d’acqua in corso d’opera, la rigorosa attenzione per le procedure di curing e stagionatura umida prolungata, la predisposizione di giunti di contrazione opportunamente distanziati in funzione dello spessore del conglomerato, la valutazione critica in merito all’adozione o meno di barriere contro l’umidità di risalita, la valutazione, altrettanto critica in ordine all’opportunità di ricorrere a sistemi indurenti mediante spolvero e/o pastine, poste in opera con il metodo “fresco su fresco”.

METODI DI BONIFICA: I metodi più utilizzati per ripristinare la fruibilità all’estradosso della lastra di calcestruzzo (pavimentazione) contemplano il consolidamento della continuità di appoggio al sottofondo, la ricostruzione della continuità planare, preceduta dall’asportazione del calcestruzzo comunque degradato, il ripristino funzionale dei giunti e la finitura protettiva. Il consolidamento all’appoggio viene in genere conseguito praticando perforazioni ed iniettando malte o boiacche colabili, moderatamente espansive (tipo GROUT MICROJ o GROUT CABLE). Per la ricostruzione della continuità planare, preceduta dall’asportazione del conglomerato degradato mediante opportuna fresatura, si utilizzano malte cementizie strutturali colabili (tipo GROUT 2 o GROUT 6, in funzione delle dimensioni di riempimento). Il ripristino funzionale dei giunti richiede sigillanti adeguati in termini di deformabilità e durezza Shore. La finitura protettiva richiede prodotti in grado di assicurare le prestazioni richieste, in termini di resistenza all’abrasione e capacità impermeabilizzante, protettiva (tipo QL NANO LITHIUM).

DESCRIZIONE: È definibile come una separazione (scissione) di uno strato di calcestruzzo secondo un piano parallelo alla superficie. Piuttosto evidente nei casi di deterioramento avanzato risulta comunque riscontrabile con semplici sistemi di percussione o trascinamento e, per indagini più approfondite, con specifici strumenti di rilevamento. Il coinvolgimento o meno dell’armatura rappresenta un elemento discriminante per qualificare i processi di delaminazione. Se l’armatura è coinvolta le implicazioni sono di tipo strutturale ed anche le procedure di bonifica dovranno essere considerate come ripristini strutturale veri e propri. Se l’armatura non è coinvolta le procedure di bonifica potranno essere limitate agli aspetti funzionali e/o estetici.

ORIGINI DELL’INCONVENIENTE: La genesi dei più comuni processi di delaminazione è individuabile nelle procedure inadeguate di posa in opera e consolidamento (segregazione e giunti freddi), nell’acqua di affioramento (bleeding) intrappolata, in errate riparazioni superficiali, nell’inadeguata qualità e dimensione del copriferro, nella penetrazione d’acqua in condizioni di gelo/disgelo e nell’espansione per corrosione delle armature d’acciaio. Nell’ambito delle riparazioni inadeguate, come possibili cause di delaminazione, sono da considerare con attenzione anche le variazioni dimensionali, contrazioni e/o espansioni, che possono verificarsi fra il materiale utilizzato per il reatauro ed il calcestruzzo esistente.

POSSIBILI CONSEGUENZE: In assenza di implicazioni strutturali le conseguenze della delaminazione possono comunque rappresentare un elemento in grado di inficiare nel tempo l’integrità strutturale e, nel caso delle pavimentazioni di calcestruzzo, la fruibilità delle opere. Le possibili conseguenze in termini di durabilità sono sempre da valutare con attenzione.

MISURE DI PREVENZIONE: Gli accorgimenti che possono contrastare l’insorgere delle delaminazioni comprendono le predisposizioni costruttive in grado di assicurare il corretto spessore del copriferro, la progettazione di miscele di calcestruzzo coesive ed esenti da bleeding, l’adozione di modalità di dimensionamento e posa del calcestruzzo tali da scongiurare la formazione di giunti impropri, la tempestività delle opere di finitura coerenti con la qualità del conglomerato e con le condizioni ambientali, unitamente ai necessari provvedimenti di cura e stagionatura.

METODI DI BONIFICA: Gli aspetti più rilevanti negli interventi di bonifica delle delaminazioni possono essere condensati nella successione di fasi operative preliminari comprendenti l’individuazione (diretta e/o strumentale) delle aree effettivamente compromesse, la delimitazione delle aree di intervento, ivi compresa la predisposizione delle stesse mediante tagli perimetrali (di profondità non inferiore a mm 6), l’asportazione del calcestruzzo degradato o comunque compromesso e l’accurata depolverizzazione delle superfici di risulta.

Le fasi di ricostruzione possono comprendere la costruzione di un ponte di aderenza (per esempio con miscele di cemento e BOND HG (o BOND PLUS) la ricostruzione delle geometrie mancanti e/o asportate con malte cementizie colabili o tixotropiche selezionate, in termini di consistenza e diametro massimo dell’aggregato, in funzione delle dimensioni di ricostruzione (GROUT MICROJ, GROUT 2, GROUT 6, REPAR TIX, REPAR TIX HG), le corrette procedure di cura e stagionatura umida. Risultano inoltre opportuni, in funzione delle condizioni di servizio e di esposizione, adeguati provvedimenti di protezione.

In conformità a quanto già accennato, le delaminazioni che coinvolgono significativamente l’armatura dovranno essere considerate ed affrontate come riparazioni strutturali.

DESCRIZIONE: In genere, il termine “dusting concrete surface” definisce lo sfarinamento e/o la formazione di polvere sulle superfici di calcestruzzo, Una caratteristica facilmente riscontrabile nelle superfici soggette a “dusting” è rappresentata dall’agevole “rigabilità al chiodo”.

ORIGINI DELL’INCONVENIENTE: La formazione di polvere (“dusting”) nelle superfici di calcestruzzo sottoposte ad attrito è certamente conseguente alla “debolezza” del calcestruzzo come tale o alla debolezza sopravvenuta per cause differenti, spesso coagenti. Per il calcestruzzo nel suo insieme si ricordano il rapporto acqua/cemento, le possibili criticità a carico dei processi di idratazione (presa ed indurimento del legante), nonché quelle intervenute per impropria esposizione ad eventi climatici: vento, sole, pioggia, temperatura, ecc.

Un fattore importante di criticità è inoltre riconducibile all’affioramento d’acqua libera “bleeding”, sia per insufficiente coesione delle miscele che per la presenza di supporti non assorbenti o di presidi orizzontali di impermeabilizzazione (barriere vapore), in grado di incrementare l’affioramento d’acqua libera. Le lavorazioni intempestive, effettuate in presenza di bleeding, possono inoltre fornire il contributo decisivo per la “generazione” della polvere.

POSSIBILI CONSEGUENZE: La tendenza alla generazione della polvere delle superfici di calcestruzzo può portare, in tempi più o meno rapidi, al logoramento delle superfici stesse sino al verificarsi, nelle pavimentazioni di tipo industriale, di “criticità operative”. La presenza della polvere, negli ambienti di lavoro, può inoltre determinare problemi di insalubrità, connessi con l’inalazione di particelle disperse di biossido di silicio (silicosi).

MISURE DI PREVENZIONE: Utilizzare miscele di calcestruzzo accuratamente progettate; coesive, con rapporto acqua/cemento max.0,50 nelle pavimentazioni in calcestruzzo a contatto con il terreno valutare sempre la predisposizione di barriere contro l’umidità di risalita; Non effettuare operazioni di finitura in presenza di acqua di affioramento; Curare la protezione e la stagionatura umida delle superfici di calcestruzzo fresco, comunque esposte

METODI DI BONIFICA: Sono essenzialmente rappresentati dall’applicazione, previa accurata preparazione e depolverizzazione, di specifici indurenti chimici impregnanti, non pellicolari, sia di tipo nano-tecnologico a base di silicati di litio (QL NANO LITHIUM) che a base di fluosilicati (QL FLUOSIL).

DESCRIZIONE: il termine vespai-nidi di ghiaia  (“honeycomb” nella letteratura anglosassone) si definiscono  volumi di macrovuoti che si formano sulla superficie o all’interno del calcestruzzo, a seguito di localizzazioni segregative di aggregati non adeguatamente coperti e collegati dalla pasta di cemento.

ORIGINI DELL’INCONVENIENTE: L’insieme delle cause che concorrono alla formazione dei “nidi d’ape” è generalmente riconducibile ad inadeguatezze nel controllo di qualità del calcestruzzo: progettazione, mix design, confezionamento, trasporto e messa in opera. Le carenze in ordine alla quantità di pasta cementizia ed al corretto contenuto di “fini” rappresentano l’elemento di “innesco” dei processi segregativi, processi che possono acquisire ulteriore rilevanza in presenza di errori nella posa in opera e nelle operazioni di compattazione del conglomerato.

Anche le eventuali incorrettezze nella costruzione delle casserature di contenimento possono incrementare l’incidenza dei fenomeni segregativi e l’entità quantitativa e dimensionale dei “nidi d’ape”.

POSSIBILI CONSEGUENZE: Le “vistose” manifestazioni segregative rappresentate dai “nidi d’ape” si ripercuotono soprattutto sull’aspetto delle strutture. Nei casi più accentuati possono inficiarne gli aspetti funzionali e di servizio. In ogni caso costituiscono pregiudizio per la durabilità delle opere.

MISURE DI PREVENZIONE: Sono riassumibili con interventi sul mix design, nonché sulle modalità di posa e compattazione. Per quanto attiene il mix design sono certamente consigliabili interventi volti ad incrementare il contenuto di pasta cementizia e la coesione di miscela attraverso la progettazione di miscele, comunque coerenti con composizioni granulometriche di tipo continuo, a più elevato contenuto di cemento e di aggregati fini.

L’addizione di filler a base di silica fume (tipo MICROSIL 90) può inoltre fornire importanti contributi in ordine alla qualità ed alla quantità di pasta legante, L’addizione di fibre polipropileniche (tipo READYMESH) consente significativi incrementi della coesione a fresco delle miscele.

METODI DI BONIFICA: I possibili metodi di bonifica, orientati a bonificare le conseguenze estetiche e le carenze protettive, contemplano il ripristino corticale (colmatura), previa adeguata preparazione, con malte cementizie tixotropiche, spatolabili, adesive, a ritiro compensato, (per esempio REPAR SM, REPAR TIX o REPAR TIX HG). L’omogeneità cromatica e di tessitura ed il ripristino delle necessarie prestazioni protettive, possono essere perseguite attraverso l’applicazione di specifiche pitture (tipo PROTECH WAC e PROTECH WAC-T).

DESCRIZIONE: La reazione alcali-silice o alcali aggregati (ASR) può essere, nello stesso tempo, un “difetto” ed una causa di degrado quasi sempre di tipo congenito, derivante dalla presenza di silice amorfa nei granuli grossi dell’aggregato. Rappresenta, in alcuni paesi, un problema importante. In Italia si è manifestato più sporadicamente e in aree geografiche delimitate, soprattutto nelle provincie di Ravenna, Pesaro Urbino, Ancona, Pescara, Campobasso e Foggia.

Si manifesta in vari modi: all’estradosso di pavimentazioni in calcestruzzo si presenta, in genere, in modo puntuale, con distacchi tronco-conici rovesci, di limitata dimensione, che si espandono, sino a formare scagliature con distacchi più o meno importanti, spesso accompagnati dalla presenza di gocce gelatinose (gel di silicio ricco in alcali). Nelle strutture determina la comparsa di fessurazioni diffuse, destinate a deteriorarsi ulteriormente nel tempo.

ORIGINI DELL’INCONVENIENTE: La reazione avviene quando si verificano le necessarie precondizioni: un calcestruzzo con cemento ad elevato tenore di alcali nel cemento, la contemporanea presenza di aggregati reattivi ed il sussistere di valori di umidità relativa superiori all’85%, ed è spesso evidenziata dalla comparsa di “gel” attorno agli aggregati. L’opale, il calcedonio, la tridimite, e la cristobalite sono le forme più comuni di aggregati contenenti silice reattiva. In realtà la provenienza degli alcali può anche essere esterna, ad esempio quando il calcestruzzo entra in contatto con le soluzioni di cloruro di sodio, derivanti dai sali disgelanti impiegati nella viabilità.

POSSIBILI CONSEGUENZE:I danni si presentano sia in forma di un reticolo diffuso di fessure (dette “a carta geografica”) su elementi tozzi, come plinti, sia come fessure lineari parallele al lato lungo dei manufatti su elementi allungati (pilastri), sia infine come “conetti rovesciati” che si distaccano prevalentemente dalla superficie di pavimentazioni, denominati “pop-out”. In termini pratici le conseguenze della reazione ASR possono assumere le valenze funzionali che, nelle pavimentazioni in calcestruzzo, comprendono anche l’impossibilità di un corretto utilizzo dell’opera, mentre nelle strutture e nei casi più estremi, possono essere inficiati gli aspetti statici, e prestazionali e di durabilità.

MISURE DI PREVENZIONE: Il processo espansivo della reazione alcali/aggregati può essere controllato, sino alla pratica inibizione, attraverso l’aggiunta, in fase di confezionamento del calcestruzzo, di filler in grado di “impegnare” gli alcali, sottraendoli alla reazione stessa. Fra le diverse opzioni i filler  a base di silica fume (microsilica) a reazione superpozzolanica, del tipo MICROSIL 90, rappresentano la soluzione più citata in letteratura per l’efficacia collaudata in decenni di sperimentazioni ed applicazioni pratiche, certificata anche nell’ampia letteratura reperibile sull’argomento.

METODI DI BONIFICA: Le possibilità di intervento su strutture e pavimentazioni in calcestruzzo esistenti, interessate dalla reazione alcali aggregati sono sempre state scarsamente affidabili, talvolta persino perniciose nei loro effetti. I rivestimenti con resine sintetiche di varia natura, per esempio, hanno spesso accentuato e/o accelerato il fenomeno. I più aggiornati progressi nella nano-tecnologia dei composti di litio hanno reso disponibili soluzioni che si stanno rivelando decisamente promettenti. Fra le soluzioni accennate, QL NANO LITHIUM, appare particolarmente interessante per la peculiare caratteristica di “impregnante non pellicolare”, di agevole impiego, affidabile in termini funzionali, esente dai rischi di accentuazione e/o di accelerazione della reazione.

DESCRIZIONE: Il documento ACI 201.1R: “Guida per lo svolgimento di ispezioni visive di calcestruzzo in servizio” definisce il fenomeno come ”sfaldamento localizzato di porzioni superficiali di calcestruzzo (o di conglomerati cementizi in genere), di entità variabile da particelle ridotte a scaglie di dimensioni significative, superiori ai 20 millimetri, spesso accompagnato dall’esposizione degli aggregati più grossi.

ORIGINI DELL’INCONVENIENTE: Possono essere elencate una serie di cause spesso coagenti quali: mix design inadeguato alle condizioni di esposizione (classe di esposizione), per carenza o incorrettezza dell’aria inclusa, rapporto acqua cemento eccessivo, lavorazioni effettuate in presenza di bleeding, effetti dei cicli gelo/disgelo, curing inadeguato, azione aggressiva di sali fondenti antigelo, applicazioni di spolveri indurenti su pavimentazioni cementizie con caratteristiche inadeguate.

POSSIBILI CONSEGUENZE: Le discontinuità superficiali e l’esposizione degli strati interni del conglomerato, conseguenti allo scaling possono determinare criticità estetiche, funzionali e, innescando ulteriori processi degenerativi, di durabilità delle opere. L’entità delle conseguenze accennate è correlata alla significatività ed alla distribuzione delle manifestazioni.

MISURE DI PREVENZIONE: La progettazione di mix design adeguati alla classe di esposizione, in termini di rapporto A/C, contenuto d’aria, ecc, unitamente alle corrette modalità di posa in opera e curing, rappresentano i provvedimenti di prevenzione più consigliati. L’addizione di fibre polipropileniche tipo READYMESH fornisce ulteriori presidi di salvaguardia.

METODI DI BONIFICA: Sono essenzialmente rappresentati dalla ricostruzione delle aree interessate con malte cementizie adeguate alle condizioni di esposizione, previa accurata preparazione e depolverizzazione dei supporti. Per il ripristino e/o l’incremento delle condizioni di protezione è possibile ricorrere all’applicazione di specifici protettivi impregnanti, non pellicolari, nano-tecnologici, a base di silicati di litio (tipo QL NANO LITHIUM).

DESCRIZIONE: Il fenomeno definito spalling è una conseguenza di processi corrosivi, ossidativi ed espansivi che possono verificarsi nelle strutture in conglomerato cementizio armato. Si evidenzia con la distruzione e l’espulsione, più o meno profonda, dello strato di calcestruzzo posto a protezione delle armature.

ORIGINI DELL’INCONVENIENTE: La “depassivazione” dell’interfaccia calcestruzzo/acciaio e la conseguente perdita di protezione dell’acciaio, che viene così esposto ai processi ossidativi e corrosivi, è la causa più generale dei fenomeni di spalling.

La “depassivazione” dell’interfaccia calcestruzzo/acciaio è in genere conseguente ai processi di carbonatazione del calcestruzzo, attraverso la reazione:

Il prodotto della reazione, il calcio carbonato, ha un pH insufficiente per conservare la condizione di protezione per passivazione dell’acciaio che costituisce le armature. Ne conseguono i fenomeni ossidativi, corrosivi ed espansivi accennati. Ai fini di una migliore comprensione dell’importanza dell’acqua, come umidità, è opportuno considerare che la carbonatazione non è la reazione di un gas, l’anidride carbonica, con una sostanza solida, il calcestruzzo, ma la reazione di un gas, l’anidride carbonica, disciolto in un film umido, con gli alcali in soluzione, presenti nel calcestruzzo.

Nel contesto in esame l’ossidazione e la corrosione rivestono un’importanza fondamentale. È quindi importante osservare che la corrosione è un processo elettrochimico che richiede, affinché possa verificarsi, la contemporanea presenza di un anodo (l’acciaio depassivato), un catodo (definito da ossigeno ed acqua) e un elettrolita umido (il calcestruzzo).

Possono altresì essere considerate ed investigate cause e concause di ordine più generale quali la qualità del calcestruzzo, la qualità e lo spessore del copriferro, l’incidenza e la profondità della carbonatazione, l’eventuale presenza di cloruri e correnti vaganti.

POSSIBILI CONSEGUENZE: Lo spalling è conseguente ad una condizione che ha valenza di estrema criticità conservativa. In mancanza di adeguati e tempestivi provvedimenti di ripristino possono infatti determinarsi gravi danni strutturali e compromissioni statiche di difficile e costoso rimedio.

MISURE DI PREVENZIONE: Le misure più efficaci sono le stesse generalmente adottate per la prevenzione del degrado del conglomerato cementizio armato, contemplate in UNI EN 206-1: il progetto di un calcestruzzo di qualità adeguata alle condizioni di esposizione e servizio, la predisposizione di adeguati spessori del copriferro, l’oculata messa in opera e compattazione, l’adozione di rigorosi magisteri di cura e stagionatura umida, l’eventuale ricorso, ove necessario, a misure di protezione con pitture coprenti o semicoprenti impermeabili all’acqua e permeabili al vapore (tipo PROTECH WAC o PROTECH WAC-T). Un contributo ulteriore può essere fornito dall’addizione di fibre polipropileniche tipo READYMESH in grado di costituire un presidio anti-fessurativo e di inibizione della motilità dell’acqua.

METODI DI BONIFICA: L’espulsione del copriferro non è un fenomeno puntuale ma il sintomo di una condizione degenerativa profonda. Ne consegue la necessità di interventi di ripristino con valenza strutturale, che prevedono l’asportazione del calcestruzzo comunque degradato (A), la depolverizzazione, la saturazione con acqua, l’applicazione di un rialcalinizzante (B) tipo CONSILEX SAN, la preparazione dei ferri d’armatura sino allo stato di lucidità metallica, l’applicazione di una micro malta cementizia passivante (C) tipo REPAR MONOSTEEL, la ricostruzione delle aree asportate e/o mancanti con malte cementizie adeguate (D) tipo REPAR TIX o REPAR TIX HG, l’eventuale rasatura omogeneizzante tipo REPAR SM e finitura protettiva con pitture, coprenti o semi-coprenti correttamente impermeabili all’acqua e permeabili al vapore (E) tipo PROTECH WAC o PROTECH WAC-T.